testo, regia, coreografia Pascal Rambert
con Emmanuelle Béart, Audrey Bonnet, Stanislas Nordey, Denis Podalydès (sociétaire de la Comédie-Française) e Claire Zeller
scenografie Daniel Jeanneteau
luci Yves Godin
musiche Alexandre Meyer
costumi Raoul Fernandez, Pascal Rambert
assistente alla regia Thomas Bouvet
direttrice di produzione Pauline Roussille

T2G-Théâtre de Gennevilliers centre dramatique national de création contemporaine
coproduzione Festival d’Automne à Paris, Célestins Théâtre de Lyon, Théâtre Vidy-Lausanne, TAP – Théâtre Auditorium de Poitiers, Théâtre National de Strasbourg, La Comédie de Clermont-Ferrand, scène nationale, CDN Orléans/Loiret/Centre, CNCDC de Châteauvallon, Le phénix scène nationale Valenciennes

Durata 2 ore e 15 minuti
Prima nazionale
Spettacolo in francese con sovratitoli in italiano

Pascal Rambert è capace di innescare sulla scena reazioni infinite dalle conseguenze inaspettate, creando momenti teatrali di rara intensità. Ne è dimostrazione il recente Clôture de l’amour in cui gli interpreti – Audrey Bonnet, Stanislas Nordey nell’edizione francese, Luca Lazzereschi e Anna Della Rosa in quella italiana – hanno offerto la cronaca sublime delle ultime fasi della separazione di una coppia.
È lo stesso percorso caratterizzato da una semplicità e da una curiosità inarrestabili a spingere Pascal Rambert a ricercare un altro momento di grazia, non più incentrato sul tema dell’amore e della separazione, ma riguardante questa volta la scrittura e la creazione artistica. Al centro di Répétition, un’indagine sull’essere umano, sull’artista, confuso, messo a nudo. Vi si ritrovano i due interpreti di Clôture de l’amour, Audrey Bonnet e Stanislas Nordey, affiancati da Emmanuelle Béart e Denis Podalydès. Uno spettacolo in forma di equazione priva di incognite: in una sala prove, Emmanuelle (attrice), Audrey (attrice), Denis (scrittore) e Stan (regista) assistono all’implosione della loro unione artistica.

Una macchina implacabile, un gioco dinamico che coinvolge il corpo e sfida il silenzio fra rimbalzi, confidenze, ipotesi, supposizioni, aggressioni, verità e finzioni. E quando finalmente tutto tace, quando l’interprete ha esaurito le ragioni della sua volubilità, crolla sconfitto. È solo allora, in quel momento, che l’artista entra in scena.

Per il testo Répétition, Pascal Rambert è stato recentemente insignito del Premio annuale Emile Augier per la letteratura e la filosofia, Medaglia di bronzo.

Intervista a Pascal Rambert di Joelle Gayot e biografia

Intervista a Pascal Rambert di Joelle Gayot

Leggendo Répétition, viene in mente Clôture de l’amour. Ciò è dovuto al fatto che in scena i personaggi portano nomi e cognomi dei loro interpreti. Qual è il significato di questo rimando a Clôture de l’amour?

Da qualche tempo ho smesso di dare nomi di personaggi alle voci che scrivo per gli attori. Scrivo per voci e corpi piuttosto che per personaggi. Penso che ciascun individuo sia, per così dire, portatore di un codice numerico. Questa cifra, combinata alle lettere che formano il suo nome dà origine a una certa vibrazione. Questa energia fa in modo che quando scrivo i nomi degli attori, so chi sta parlando. Li sento, li vedo. È qualcosa di concreto. Sono esseri umani, non personaggi di carta o di teatro. Naturalmente ciò che esprimono in Clôture de l’amour o in Répétition non ha nulla a che fare con la loro vita privata. Tuttavia ognuno di essi possiede una personale vibrazione che mi consente di aprire delle porte su un discorso individuale che resterà il suo nella pièce. Ho sempre lavorato sulla combinazione di corpi e voci nello spazio. Scrivo con una determinata tessitura che suona speciale nel mio orecchio. È totalmente soggettivo. Ad esempio in Clôture de l’amour il suono andava da Stan verso Audrey. C’erano due energie, una muoveva da Stan in direzione di Audrey che l’afferrava come fosse un tremendo sparo e la rimandava indietro verso di lui.
In Répétition ci sono energie dirette, “spari” che si succedono e si incastrano l’uno nell’altro. Si inizia con l’energia di Audrey che innesca la reazione di Emmanuelle, poi raggiunge Denis per finire nel corpo di Stanislas.

Una delle particolarità del testo, privo di punteggiatura (come Clôture de l’amour), consiste nel fatto che tutto scorre all’interno del tutto. Il passato è nel presente, la finzione nel reale, l’io nel noi, l’altrove nel qui e viceversa. Ciò riflette la sua visione del mondo?

Questo «scorrere del tutto nel tutto» riflette le mie idee sulla realtà, sul mondo, sulla vita. Non credo a ciò che viene messo fuori dai confini o circoscritto all’interno di barriere. Credo ci sia un flusso in movimento tra le cose e gli esseri, anche in situazioni di conflitto. Più che di una convinzione si tratta di una fiducia esistenziale in quel flusso geniale che è la vita. Sono posseduto dall’energia della vita. Non sono triste né depresso. Sono ottimista e vitale. Credo in questa forza vitale che cerco di convogliare nel mio lavoro artistico perché, per me, l’arte è proprio questo. L’arte è questo flusso inarrestabile, questa forza che mi affascina totalmente e che oggi accetto come un dono prezioso per la mia vita ma anche come qualcosa da condividere con gli spettatori che da una ventina d’anni vengono a vedere il mio lavoro.

Parliamo della situazione di partenza suggerita dal titolo: la prova. Non potrebbe trattarsi di un alibi per aprire verso qualcos’altro?

La prova è un come il “titolo della schermata”. Vorrei far capire che non scrivo drammaturgie a soggetto. Non esiste nella vita qualcosa come un soggetto ma un continuo ribollire, un agitarsi senza fine che è al di là di noi, fuori controllo, che sgorga senza sosta dal nostro io interiore.
L’arte è in questa costante fonte, nel grido soppresso, la sofferenza repressa che esplode improvvisamente. Questo grido, questa parte dell’individuo che all’improvviso si scatena e proclama «io esisto», questo è proprio il momento dell’espressione artistica. Io cerco di contenere questo flusso zampillante, di conferirgli una forma attraverso il linguaggio. Qualcosa che ci permetta di esprimere il nostro disagio e ciò che grida dentro di noi. Ciò non significa che gli attori si rotolino sul palcoscenico o che si odano grida disperate. No, è tutto estremamente strutturato dal linguaggio, che, pur essendo strettamente articolato, può dare forma a questa ribellione “pura” dell’essere umano che afferma “io sono”.

Si notano diverse “strutture” – un termine usato da Audrey – in Répétition. La prima è formata da quattro attori/personaggi – Audrey, Emmanuelle, Denis e Stan –, la seconda è un gruppo fittizio costituito da Stanley, Clay, Iris e Diane. Poi ritroviamo anche altri insiemi: Stalin e sua moglie, Mandelstam e sua moglie, Scott e Zelda Fitzgerald. Cosa succede tra queste diverse strutture?

La “struttura”, dietro al suo apparente ribollire, è molto semplice. Si assiste a un momento di una prova nel corso della quale Audrey coglie negli occhi di Denis che qualcosa sta accadendo tra lui ed Emmanuelle. A partire da qui ho voluto mostrare come, da un semplice sguardo, potessi costruire un mondo, un mondo che poi ho voluto fare implodere. Siamo su diversi piani di realtà. Ho spesso l’impressione che quello che chiamiamo verità non risieda necessariamente in ciò che chiamiamo realtà ma molto più di frequente dentro la finzione. E ho visto più verità in alcuni momenti di teatro, danza o letteratura che nella vita stessa. Di conseguenza ho cercato di mostrare questo flusso costante, che caratterizza il mestiere dell’artista tra ciò che prendiamo in prestito dalla vita e la sua trasformazione in materia immaginaria. Per me vita e finzione si mescolano in continuazione. Questo flusso ininterrotto è uno dei possibili temi di Répétition.

Pascal Rambert

Pascal Rambert (1962) realizza a Nizza la sua prima regia, ancora studente al liceo. Inizia così un percorso atipico che, di tappa in tappa, lo porterà a fondare una propria compagnia teatrale, Side One Posthume Théâtre, e che sfocerà nella pubblicazione dei suoi primi lavori drammaturgici, Désir e Les Lits. Successivamente intraprende un’indagine personalissima nei diversi campi artistici, in Francia e all’estero: è un curioso esploratore del mondo e degli uomini che lo popolano, spostandosi dagli Stati Uniti alla Siria fino in Giappone, realizzando spettacoli a partire dalle proprie scoperte. Nel corso degli anni, ovunque si trovi, porta avanti una multidisciplinare attività di formazione attraverso laboratori di gioco, di scrittura e di danza, rivolti ad amatori e giovani professionisti.
Invitato per la prima volta al Festival di Avignone nel 1989, scrive e dirige Les Parisiens, prima di collaborare con Jeanne-Pierre Vincent al Théâtre Nanterre-Amandiers. Nel 1992 presenta due suoi testi, John et Mary e De mes propres mains, rappresentativi di una scrittura che alterna opere intime come dialoghi a due o monologhi, a opere corali come L’Épopée de Gilgamesh presentato nel 2000 al festival di Avignone in un campo di girasoli, oppure After/Before ospitato nel 2005 e ancora Une (micro) histoire économique du monde del 2010.
Il suo testo Avignon à vie viene letto da Denis Podalydès nella Corte d’Onore del Palazzo Dei Papi nell’ambito del Festival d’Avignon del 2013. Nel giugno 2015, il Théâtre des Bouffes du Nord gli ha dedicato un festival presentando cinque delle sue creazioni: Memento Mori, Clôture de l’amour, Avignon à vie, De mes propres mains e Libido Sciendi.
Per il 2016 ha in previsione una messa in scena di Actrice con gli attori del Théâtre d’Art di Mosca e di L’enlèvement d’Europe con gli attori del Teatro Nazionale di Zagabria.
A gennaio 2016 comincerà l’allestimento del nuovo lavoro dal titolo Argument, scritto per Laurent Poitrenaux e Marie-Sophie Ferdane, presso il CDN Orléans/Loiret/Centre; il lavoro sarà poi presentato alla Comédie di Reims e al T2G Théâtre di Gennevilliers, centro nazionale di produzione contemporanea di cui è direttore dal 2007. In questa veste Rambert svolge un costante lavoro sul territorio senza però rinunciare a esplorare il mondo, avido di un confronto permanente dell’estetica e delle pratiche sociali.

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www.theatre2gennevilliers.com